Illegal farmers and collectors of Sardinia | Viaggio in Sardegna nell’illegalità a bassa definizione
Seconda parte del viaggio nel mondo del nuovo sottoproletariato che vive e sopravvive nell’illegalità o nei suoi confini. Coltivatori di canapa indiana e i raccoglitori di lumache, asparagi, funghi o qualunque altro prodotto della natura che può essere venduto in nero nelle nostre vie e piazze, sono parte di questo nuovo proletariato. All’interno di questo nucleo sociale, spesso in competizione tra di loro, ritroviamo un’ umanità al limite che sopravvive di espedienti e piccola criminalità. Con questo viaggio a bassa definizione e realizzato quasi tutto con un cellulare attivato solo nella sua funzione di fotocamera, si racconta e si analizza il fenomeno dell’illegalità della sopravvivenza, le sue contraddizioni, i suoi aspetti sociali e quelli del sottoproletariato nel nuovo millennio. Una documentazione in un mondo che ha le sue regole e i suoi codici, tra i campi di canapa e nelle campagne della Sardegna alla ricerca di una realtà che sarà destinata a sparire o trasformarsi in altro. L’incontro con queste realtà al limite della legalità o in alcuni casi in piena illegalità si sta trasformando per me in un manifesto politico, in una rivendicazione della loro libera scelta a non essere parte di un sistema o dei molteplici sistemi. Dallo stato alla camorra alla criminalità organizzata , questi piccoli “Juan senza terra” combattono una loro piccola guerra a questi grandi sistemi capitalisti e/o criminali
nella pratica artistica e di ricerca di Nicola Lo Calzo
Questo incontro si svilupperà sull’uso del libro fotografico come strumento privilegiato di costruzione narrativa oltre che di diffusione del progetto fotografico. A partire da un caso esempio, quale quello del libro Binidittu (L’Artiere edizione) frutto di una collaborazione tra l’autore e il designer Ramon Pez, si discuteranno le diverse fasi dalla concezione, al finanziamento, alla produzione e alla diffusione del photobook. Binidittu è una riflessione sulla condizione dei migranti sub-sahariani nel Mediterraneo attraverso la figura di San Benedetto il Moro, figlio di schiavi africani, divenuto il primo santo nero moderno della storia (Sicilia 1524-1589).
nicolalocalzo.com
Memorie della schiavitù e corpi resistenti
Fotografo e ricercatore il cui lavoro rientra sia nel campo delle arti visive che in quello della fotografia documentaria, Nicola Lo Calzo s’interessa alle relazioni tra fotografia, memoria e potere. Il suo lavoro si concentra sugli usi della fotografia per interrogare la memoria dei gruppi subordinati, in particolar modo la memoria dei popoli ex colonizzati. Dal 2010 lavora su un progetto artistico e di ricerca sulle memorie della schiavitù e delle sue resistenze, il progetto Cham. Ad oggi, l'attuale progetto si è sviluppato in diversi territori dell'area atlantica e mediterranea, coinvolgendo più di dieci paesi tra Africa, Europa, Caraibi e Americhe.
“Il progetto Cham é un tentativo di raccontare le memorie della tratta degli schiavi dal punto di vista delle comunità afro-discendenti, che portano il complesso patrimonio della resistenza alla schiavitù, in un contesto ancora afflitto da disuguaglianze, ingiustizie sociali e razzismo sistemico. Utilizzando la fotografia documentaria, completata da elaborate didascalie e approfondite informazioni, interviste e registrazioni, documento un fenomeno complesso e intangibile, che, in prevalenza, non si basa su documenti scritti ufficiali, il punto di vista del leone secondo un proverbio africano: "finché i leoni non avranno i loro storici, le storie di caccia saranno sempre raccontate alla gloria dei cacciatori".
In passato, la fotografia ha giocato un ruolo importante nella fabbricazione dell'*altro*, considerato come un essere diverso e inferiore. Storicamente, la relazione del fotografo con i suoi soggetti ha spesso assunto la forma dell'esercizio di potere, o addirittura della predazione: "C'è qualcosa di predatorio nell'atto di scattare una foto", afferma Susan Sontag nel suo saggio sulla fotografia pubblicato nel 1977.
Al tempo del mondo globalizzato, può un progetto fotografico documentario centrato su una comunità, una minoranza etnica, di genere o sessuale sfuggire a questo rapporto di predazione contribuendo, al contrario, a decostruire le rappresentazioni dominanti e gerarchiche del mondo? Quali sfide si pongono quando la fotografia mira a diventare uno strumento di sensibilizzazione su temi quali la migrazione, la comunità queer o le comunità afro-discedenti?
Le mie orme silenziose
Funzionalmente al registro cromatico, colore e bianco nero, Antonio Mannu ha fotografato in collaborazione con il prof. Paolo Chiozzi, già docente di Antropologia Visuale a Firenze. Tra il 1998 e il 2007 sviluppa un osservazione bianco nero del più importante evento socio culturale dell’induismo la Kumbh Mela. In bianco e nero sono gli sguardi sulla Mattanza, documentazione sulla pesca del tonno tradizionale in Sardegna, un'attività che ormai non avviene più. Tra il 2002 e il 2003 è stato più volte in Iraq dove ha realizzato un lavoro sulla città di Bagdad. Sul territorio comunale di Sassari e in altre porzioni del territorio a nord ovest dell'isola ha sviluppato un lavoro fotografico con registro colore e post produzione digitale dal titolo Uno sguardo dal basso - i luoghi visti dall'altezza di un bambino. Altri due lavori rilevanti da un punto di vista della ricerca tematica sono i Sardi nel Mondo, ricerca sulla migrazione sarda contemporanea, e i primi mesi dell'emergenza Covid a Sassari, un momento in cui la fotografia ha rivelato l'importanza di un linguaggio utile a restituire un senso a quel periodo di tempo sospeso
Antonio Mannu è nato a Sassari il 21 gennaio 1957. Si occupa professionalmente di fotografia dal 1990. Ha tenuto corsi didattici e conferenze sulla fotografia per conto di istituzioni pubbliche, scuole, centri culturali e istituzioni universitarie. Ha esposto in Sardegna, nella penisola e all'estero. È presidente dell’Associazione Ogros.
Incontro con il regista Daniele Atzeni, con la partecipazione di Lisa Reboulleau (Francia)
Partendo dalle scelte hanno guidato i registi nella realizzazione dei propri lavori, gli autori avviano una serie di considerazioni sulle diverse modalità di rappresentazione della realtà e sulla definizione stessa di cinema documentario.
Daniele Atzeni (Iglesias, 1973), dopo il diploma in regia alla NUCT di Roma, si dedica alla realizzazione di documentari e cortometraggi, occupandosi di lavoro, trasformazioni sociali, recupero della memoria storica, ritratti biografici. Col mockumentary I morti di Alos (in concorso a Clermont-Ferrand e vincitore di numerosi premi internazionali) intraprende un percorso basato sul riutilizzo delle immagini d'archivio. Il suo ultimo film è Inferru, realizzato esclusivamente con filmati di repertorio e home movies che riguardano la realtà mineraria del Sulcis-Iglesiente, miglior film al Beijing International Short Film Festival di Pechino e primo premio al concorso “Roberto Gavioli“ di Brescia.
Lisa Reboulleau, dopo aver studiato Scienze umane e sociali, e cinema a Parigi e Marsiglia e si è specializzata in documentari. Dal 2011si occupa di regia, in particolare sull’uso delle immagini d'archivio. Accanto al suo lavoro come regista, lavora per varie organizzazioni nella realizzazione di documentari, in particolare la FIDMarseille e la società cinematografica "Les Ecrans du Large”.